Seconda ed ultima puntata sul grande Andy Wahrol! (Se hai perso la prima puoi recuperarla qui).

Affascinato dalla cultura consumistica degli anni 60’, Warhol sceglie per le sue opere, oggetti e soggetti sempre comuni e familiari, i quali diventano una vera e propria arte. 

Il suo intento è quello di togliere all’arte, l’intellettualità, per darle la commercialità, usando la tecnica della serigrafia – Con questa tecnica riproduce “in serie”, privando le proprie opere del concetto di pezzo unico, le quali diventano, di conseguenza, un vero prodotto commerciale.

 

Pubblicità: come e quanto è stata influenzata da Warhol?


“Un supermercato non è diverso da un museo”

L’artista parte innanzitutto dal presupposto che la pittura fosse stata sostituita, almeno in parte, dalla fotografia – convinto che gli “stessi prodotti che si possono vedere al supermercato, negli scaffali, possono essere visti nei musei”, sostenendo con fermezza che entrambe le categorie, dunque, si possano consumare in modo simile.

Seguendo, questo concetto, le immagini che rappresenta non sono mai realmente sue – non inventa dei soggetti, ma li riproduce – non interpreta, ma ripete all’infinito – perché è proprio ciò che abbiamo davanti agli occhi che ci sfugge e che non arriviamo a vedere.

Di conseguenza, Warhol riproduce quelle immagini che si trovano sotto gli occhi di tutti (la lattina della Coca Cola l’esempio più palese), ma impercettibili, per renderli, almeno per una volta, tanto visibili al punto da conoscerli nella loro vera essenza. Warhol, rende un effimero momento della realtà, come quello di osservare una lattina, un momento di contemplazione, dove l’oggetto diventa un’immagine da osservare, da ammirare.

“La vita è pubblicità”

Per Warhol, gli stessi oggetti quotidiani della società di massa o i volti noti del cinema e dei mass media sono pubblicità – ma possono anche diventare arte, attraverso la serigrafia o la fotografia.

“Catturare il proprio pubblico” la parola d’ordine- Warhol puntava, infatti, a colpire l’osservatore con la stessa forza con cui la pubblicità scuoteva il consumatore per indurlo a comprare – dando vita burrascosamente a quel processo tipicamente postmoderno, attraverso cui l’arte inizia a diventare parte di un circuito industriale e produttivo e, per questo motivo, molto più simile alla pubblicità, tra i canoni della quale resta praticamente impigliata. 

Foto scattate da me, alla mostra che si è tenuta a Napoli, nella basilica di Pietrasanta a febbraio 2020.

Warhol e marketing: non solo pubblicità


Questo pensiero sovversivo e provocatorio portò, per la primissima volta, a considerare anche la pubblicità una forma d’arte, in un momento storico in cui si manteneva una linea di separazione netta e decisa tra ciò che era prerogativa dell’arte e ciò che invece riguardava il mondo della comunicazione.

Poiché “un’opera d’arte”, in quanto tale, “veniva tenuta a debita distanza da tutto ciò che poteva prevedere un suo utilizzo, tipica caratteristica”, invece, “del mondo della comunicazione.” 

Con Warhol la netta separazione tra il concetto di arte e di comunicazione iniziò a ridursi.

Questa fusione tra arte e pubblicità diventa evidente nelle opere della collezione Ads, che sta per Advertisement, ovvero “pubblicità”, realizzate negli anni 80’.

Qui, attraverso, le immagini ripetute in serie di Mao Tse Tung e i profili di Margherita II di Danimarca e di Elisabetta II d’Inghilterra, così come Il maggiolone della Volkswagen, la sorridente faccia di Ronald Reagan che pubblicizza le camicie di Van Heusen, il flacone molto glamour dello Chanel numero 5, Warhol non fa altro che dare spazio alla sua vocazione pubblicitaria per l’arte.

Con il passare del tempo, fino ad oggi, sono stati tanti gli artisti che hanno deciso di dedicarsi alla comunicazione pubblicitaria seguendo l’esempio dell’eclettico artista americano.

In una società sempre più instabile e difficile da contenere, perché composta da un numero sempre maggiore di consumatori attivi e consapevoli, i marketer sono alla costante ricerca di strategie e strumenti nuovi per attirare l’attenzione degli utenti – assuefatti e persi nella miriade di input quotidiani, lanciati soprattutto dal web.

Il connubio advertising – arte si è rivelato una combinazione vincente – uno strumento efficiente per il successo di moltissimi spot pubblicitari, che permette di conquistare nuovi clienti, senza colpirli, ma affascinandoli.

E’, infatti, proprio grazie a questa combinazione che alcuni brand si sono trasformati in vere e proprie icone (un caso esemplare ed orgogliosamente italiano lo spot dell’Olivetti con il volto del Sommo Poeta).

A te, invece, quale pubblicità “artistica” che ti è rimasta particolarmente impressa?

Foto scattate da me, alla mostra che si è tenuta a Napoli, nella basilica di Pietrasanta a febbraio 2020.

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Articolo di STEFANIA

Divoratrice di film e serie TV.
Una bambina creativa, vivo di arte e fotografia.
Professione Digital Artist e Graphic Designer.
Mi trovi su stefania.dipalo96@gmail.com

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