Ieri, in data 1 Marzo 2022, si è tenuto un webinar organizzato dalle università di Firenze e Udine e dal Comitato Unico di Garanzia, con il patrocinio dell’Accademia della Crusca, su “La lingua italiana in una prospettiva di genere”, che ho seguito con molta attenzione e di cui riporterò i principali punti affrontati in questo articolo.

Adesso vi chiederete, perché mai in un blog di stampa e grafica io voglia affrontare un argomento del genere e apparentemente fuori luogo.

Fuori luogo infatti non lo è per nulla, in quanto da sempre sia la grafica che la stampa sono strumenti di comunicazione, che si servono sia della lingua che del linguaggio (che non sono la stessa cosa, ndr), ed è dunque importante anche per noi restare aggiornati su quello che sta avvenendo.

Ultimo, ma non meno importante, il mio background professionale è di tipo linguistico, dunque so bene che significa avere rispetto per una lingua e considerarla con il dovuto rigore scientifico, al contrario di chi, senza nessun bagaglio tecnico, pretende di esprimere opinioni a riguardo e di mettere in discussione quella che è l’autorità scientifica. E questo sì che è fuori luogo.

Inoltre, un’altra premessa che mi sento di fare è che la mia posizione a favore degli accademici è specificamente di tipo linguistico e scientifico e non ha nulla a che vedere con il problema relativo all’inclusione delle persone di genere non binario, che è invece di tipo culturale; ma anche questo punto è stato ben argomentato ieri e lo troverai approfondito più avanti nell’articolo.

grafica dante alighieri di profilo per dantedì

La lingua e la sua storia


Il primo intervento è stato quello del Prof. Marco Biffi, che come esperto in storia della lingua italiana, ha esposto con chiarezza la problematica culturale che stiamo vivendo (l’inclusione sociale delle persone di genere non binario) e come la lingua non può esserne la cura.

Questo problema però viene decisamente confuso ed ingigantito dalle “regole dei social”, dove si commenta e si condivide quello che ci piace e ci fa più comodo, senza verificarne la veridicità né le fondamenta scientifiche; e ancor peggio senza una riflessione, perché semplicemente ci si accontenta di quello che si dice solo perché ci piace. E questo è molto grave.

E’ giusto infatti sollevare delle questioni, ma questo viene fatto con aggressività (egli stesso viene aggredito sui social) e soprattutto bisogna rendere chiaro che la lingua non può essere la cura per un problema che è invece di tipo culturale.

Infatti, quello che urge maggiormente è il miglioramento della cultura italiana media ed accettazione della lingua da un punto di vista storico e non ideologico, in quanto la lingua per Costituzione deve essere capita da tutti. 

La lingua deve includere tutti

Il Prof. Biffi pone l’accento su un dato importante e che in pochi conoscono: la cultura di quasi il 50% degli italiani si ferma alla terza media, dove spesso per queste persone l’italiano è una seconda lingua, giacché la prima è costituita dal loro dialetto.

Questo significa che nel momento in cui si attuerebbe un cambiamento morfologico, come la ə al posto del maschile non marcato, questo sarebbe devastante per tutte queste persone che hanno acquisito la lingua italiana in maniera non poco faticosa.

La lingua, infatti, non cambia a colpi di plebisciti, ma a seguito di cambiamenti naturali, e non ideologici e radicali imposti.

Sì alla sperimentazione, perché quella non la vieta nessuno, ma decisamente no all’imposizione.

La lingua è convenzione e condivisione


Il secondo intervento è toccato a Federigo Bambi, docente di lingua giuridica e accademico della Crusca, il quale invece ha affrontato la questione del punto di vista giuridico, considerando l’educazione costante alla scrittura a cui è esposto chi lavora in questo ambito.

La lingua è infatti un organismo vivente e deve fare i conti prima con quella parlata e solo poi con quella scritta, che ne è una sua corrispondenza grafica e visiva.

Cosa significa questo: che non si può usare un simbolo scritto come la ə che non corrisponde a nessun suono parlato, perché renderebbe la lingua artificiosa, andando contro ad uno dei suoi principi fondamentali che è quello dell’economia.

Inoltre, questa artificiosità violerebbe anche i tre principi cardine del linguaggio giuridico che sono chiarezza, semplicità e trasparenza, senza dimenticare che la lingua è una convenzione che deve essere condivisa da TUTTI (ergo anche da quel 50% degli italiani la cui educazione si è conclusa con la terza media).

entrata accademia della crusca

Lingua e genere


Le questioni di genere in ambito linguistico però non nascono oggi, ma risalgono ai movimenti femministi degli anni ’70, di cui Anna Sabatini ne è stata la maggiore rappresentante con i suoi studi sul sessismo nella lingua italiana, che portarono in luce la necessità di un riequilibrio tra lingua e genere, una questione ancora importante e tuttora affrontata dalla linguistica femminista.

Questa tematica ieri è stata trattata dalla Professoressa Cecilia Robustelli, la quale ha giustamente fatto notare che in passato le proposte linguistiche femministe non sono arrivate alla linguistica perché non era a quella che miravano, bensì alle donne, nelle quali volevano stimolare una reazione.

Quello che succede oggi, invece, è completamente diverso, poiché queste proposte non sono sostenute da nessuna teoria scientifica, in quanto nascono da ambienti non addetti ai lavori e per motivi soprattutto politici e giuridici, sulla la quale la stampa, come al solito, non fa che inzupparci il pane.

I discorsi avanzati sono infatti insensati, perché la lingua è strumento di comunicazione e travisarla in questo modo significa svilirla della sua funzione comunicativa (e ritorniamo sempre a quel 50%…)

La lingua in un'ottica sociologica


L’intervento del Prof. Nicola Strizzolo è quello che più mi ha entusiasmato, perché ha confermato quelle che erano delle mie intuizioni, ma che non ho mai condiviso con nessuno, neanche con il mio analista, non essendo una professionista in ambito psicologico. Mi ha però rallegrato sapere che le mie intuizioni erano giuste e che quindi il mio percorso psicoterapeutico mi sostiene anche in questi momenti di osservazione e riflessione (e questo punto pure è stato affrontato ieri e lo riporterò più avanti).

L’analisi del Professore, infatti, era di natura sociologica e si è soffermata soprattutto sul meccanismo psicologico della proiezione, ponendosi dunque questa domanda: essendo il simbolo della ə indefinito e da riempire, cosa ci si proietterebbe dalla propria indefinizione di genere?

Il Professore ha dunque fatto delle ricerche, immaginando che la ə fosse una persona e come quindi un corpo indefinito, nel quale si assembra la propria immagine privata per farla diventare pubblica, apparisse nell’immaginario collettivo, nel caso particolare limitandosi al solo mondo dello spettacolo e quindi ai maggiori artisti di genere non binario del panorama italiano.

E sai qual è stato il risultato? Che questi corpi sarebbero stati quasi tutti di uomini!

E questo come conseguenza di una proiezione.

Ma che cos’è la proiezione? E’ un meccanismo di difesa per non affrontare contenuti inconsci e che vengono quindi proiettati all’esterno, fino a separarsene, ma che non sono altro che scissioni di parti di noi che non riconosciamo come tali. Solo che sono e restano NOSTRE caratteristiche intrapsichiche.

La domanda sorge dunque spontanea: in una società dove tutti i corpi da riscrivere sono di base maschile, cosa verrebbe proiettato sulla ə o altri simboli?

immagine simbolica del meccanismo di proiezione

GEP e inclusività: strategie consigliate


Nella seconda parte del convegno si è passati dalla teoria alla pratica, dove diversi esperti e ricercatori hanno proposto alcune strategie linguistiche da poter utilizzare per garantire eguaglianza ed inclusione di genere, specificando che il linguaggio giuridico ed amministrativo non può assolutamente essere il campo per la sperimentazione.

Queste strategie di non marcatura del genere possono essere l’uso di nomi generici (“il corpo docente” invece di “i docenti”), le forme passive,  così come il maschile non marcato che non fa riferimento al genere, oltre all’uso corretto della terminologia utilizzata dall’ambiente LGTB.

E’ fondamentale l’uso di queste formule perché non sono nuove ed il loro significato è quindi subito chiaro a tutti; inoltre bisogna considerare che il loro corretto utilizzo dipende anche dalla sensibilità di chi scrive, che deve tenere sempre ben presente qual è la funzione comunicativa del testo, ergo scopo e destinatario.

Il testo deve infatti tenere conto del contesto di arrivo, con una tipologia testuale linguisticamente controllata e strategie linguistiche che siano lessicali e non morfosintattiche, perché non si può essere inclusivi verso le comunità LGTB escludendo il resto delle persone che non capiscono il significato di certi simboli.

Formazione, cultura e rispetto per l'altro


Sono i tre ingredienti principali per il corretto uso di un linguaggio inclusivo: non basta la cultura se non c’è sensibilità e messa in discussione delle proprie certezze, così come non regge una sensibilità senza una formazione di base.

Il Dottor Francesco Bilotta ha infatti sottolineato quanto siamo ancora lontani dalla messa in discussione del patriarcato, quando molti uomini vengono attaccati solo perché tali e oggetti di una proiezione, che però non fa altro che alimentare le stesse e vecchie dinamiche di potere.

Dal suo canto, però, la lingua italiana offre molto spazio d’azione per l’inclusività, il che significa che siamo noi tutti in primis che dobbiamo metterci in discussione e stare attenti a non cadere in stereotipi e pregiudizi frutto dei nostri bias cognitivi, perché solo un reale lavoro su di sé ci può portare ad un corretto autocontrollo e ad un suo conseguente miglioramento della qualità delle nostre comunicazioni.

Le immagini appartengono a Google

Articolo di Amalia

Ricordo quando mi sporcavo le mani con gli inchiostri di papà! Oggi so quanto sono stata fortunata. amalia@litocinquegrana.it

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