Dal saggio di Andrea Nardi “Lettura su schermo e processi cognitivi: superare le dicotomie per continuare a leggere”

Dalla carta allo schermo


Sin dalla loro nascita, le pubblicazioni digitali non hanno mai rappresentato una vera e propria alternativa a quelle cartacee, faticando ad imporsi sia per motivi tecnici che culturali.

Infatti, dal punto di vista tecnico, i dispositivi elettronici presentano ancora limiti di ergonomia e usabilità, mentre dal punto di vista culturale il libro resta per l’utente ancora un artefatto tattile, oltre alle resistenze da parte del mondo dell’editoria ancora decisamente legato al libro stampato. 

Non a caso, al contrario di quanto si potrebbe pensare, la lettura di e-book è ancora poco diffusa tra le generazioni più giovani, che preferisce ancora optare per il libro di testo tradizionale.

La ricerca sul confronto tra lettura su schermo e lettura su carta (di cui ne parlo anche qui) è solo agli inizi ed è molto difficile stabilire gli effetti nel lungo periodo dell’uso del mezzo digitale sulle funzioni cognitive connesse alla lettura; ci sono sicuramente evidenti cambiamenti nelle abitudini e nelle pratiche cognitive dei lettori che ci avvertono delle possibili trasformazioni dei processi mentali.

La neuroscienziata Maryanne Wolf è convinta che leggere su schermo finisca per inibire, a lungo andare, la formazione di importanti circuiti neuronali funzionali all’immersione e alla lettura profonda, aspetto indagato anche da altri autori, che hanno appunto mostrato preoccupazione per i possibili effetti di tale impoverimento cognitivo.

Sono, infatti, diversi i fattori che influenzano negativamente la qualità del leggere, come l’iperstimolazione dell’attenzione e l’uso intensivo del multitasking, così come la predominanza delle immagini sulla parola scritta, che diviene per molti lo strumento privilegiato per documentarsi e apprendere – un aspetto allarmante, giacché l’uso massiccio della multimedialità potrebbe portare col tempo ad una graduale atrofia dell’immaginazione, prodotta dall’abitudine a ricorrere a immagini e riproduzioni del mondo preconfezionate, piuttosto che costruirne di nuove.

Informazione vs conoscenza


Con digital reading non s’intende soltanto il trasferimento di un libro cartaceo sul supporto elettronico, ma alla più ampia esperienza di lettura sullo schermo che avviene ogni giorno online, attraverso i nostri smartphone e i numerosi altri dispositivi digitali. 

Se prima infatti la lettura veniva svolta soprattutto in luoghi protetti dalle distrazioni e con un certo livello di introspezione, lentezza, calma e tempo, oggi il testo digitale incentiva una lettura veloce, discontinua, selettiva e non immersiva, con una minore profondità di elaborazione.

Di conseguenza i lettori, rassicurati da un sapere a portata di mano, sempre disponibile e reperibile senza sforzi, mostrano spesso un approccio alla lettura distratto, affrettato, impaziente, con il rischio di non comprendere davvero ciò che leggono e diventando dei veri e propri “risparmiatori cognitivi”.

Non è un caso quindi che l’informazione, ovvero l’accumulo di notizie e aggiornamenti, si confonde con l’acquisizione di conoscenza, dove la prima è pratica ed immediata, mentre la seconda implica connessioni, confronti e rivisitazioni.

Quale può essere allora la soluzione a questo sovraccarico informativo che supera ormai di gran lunga la nostra capacità di elaborazione? 

Non leggere.

Preservare la nostra attenzione praticando un “ignorare strategico”, imparando a selezionare le informazioni preziose e a schivare quelle distorte, ponendo l’attenzione sui contenuti veramente significativi.

Praticare questa “ignoranza deliberata” diviene oggi una competenza culturale fondamentale da acquisire al pari del saper leggere e scrivere.

Lentezza vs velocità


La velocità, la semplificazione e la superficialità, come risposta strategica alla necessità di fronteggiare l’entropia informativa, sembrano prendere il posto della lentezza e della profondità e per questo motivo il libro resta ancora lo strumento più diffuso per la spiegazione di argomenti e concetti, cosi come per la loro organizzazione in un percorso narrativo e argomentativo autorevole, validato, unitario e organico.

Nonostante queste prerogative cognitive il libro viene purtroppo messo in discussione da un tipo di approccio alla conoscenza basato sul culto della velocità, incompatibile con il tempo e la lentezza richiesti per leggere.

Il nostro cervello, infatti, è una macchina analogica lenta, costretta oggi a misurarsi con un’accelerazione senza precedenti, che può portare all’abitudine a ricorrere in modo sempre più frequente al “pensiero veloce” rispetto al “pensiero lento”, con un conseguente indebolimento del secondo, responsabile di processi fondamentali per l’apprendimento e l’educazione come l’elaborazione razionale e analitica.

Eppure affinché la lettura sia davvero generativa necessita ancora oggi di quantità significative di attenzione, calma, impegno e motivazione; se ci dedichiamo invece soltanto a forme estensive di pseudolettura, corriamo il rischio di non comprendere più il senso di quello che stiamo leggendo.

Attenzione vs distrazione


Quella moderna non è soltanto un’economia del tempo, ma anche e soprattutto un’economia dell’attenzione. L’attenzione è però una riserva di risorse cognitive limitata, che soffre in situazioni di eccessiva richiesta ed occorre quindi amministrarne il dispendio.

Alcuni autori sono convinti che la sovrastimolazione digitale e il costante richiamo all’attenzione stiano portando ad un suo progressivo esaurimento, in quanto la lettura accompagnata dal multitasking compulsivo e da un’attenzione intermittente comporta l’indebolimento dei circuiti neuronali che presiedono a importanti funzioni intellettuali come la concentrazione e la riflessione a favore invece di quelli utilizzati per attività più superficiali.

Un altro aspetto critico è rappresentato dall’enorme quantità di dati da processare che può interferire con il funzionamento della memoria di lavoro, la quale gioca un ruolo fondamentale nella comprensione poiché permette al lettore di costruire un’adeguata rappresentazione mentale del significato del testo.

Se però le richieste di elaborazione superano la ridotta capacità della memoria di lavoro, si crea un sovraccarico cognitivo che limita la possibilità di conservare le informazioni e ostacola il processo che permette di passare dalla decodifica di un testo alla sua effettiva interpretazione.

Chi legge un libro impegna soprattutto la memoria a lungo termine, in quanto deve immagazzinare concetti complessi per organizzare i dati in uno schema coerente; chi legge sullo schermo usa invece quasi esclusivamente la memoria a breve termine, che tende in questo modo a intasarsi.

Noia vs iperattività


Quando controlliamo le notifiche sul nostro cellulare, quando leggiamo le email, quando scorriamo i profili dei nostri social media è come se stessimo giocando alle slot machines: ad ogni nuovo stimolo si innesca il sistema dopaminergico e questo spinge a guardare il telefono sempre più frequentemente per ottenere la stessa risposta cerebrale, la stessa ricompensa. 

Di conseguenza, quando ci troviamo a leggere un libro o a guardare un film, rischiamo di annoiarci, perché abituati ad una maggiore sollecitazione sensoriale.

Dal momento che siamo costantemente immersi in un ambiente saturo di informazione, dovremmo utilizzare la noia come strategia per rifiatare, e invece non è così: proprio come accade per altre tipologie di assuefazione, sentirsi annoiato spesso produce l’impulso di fuggire da tale stato rifugiandosi in nuove stimolazioni.

L’iperstimolazione costante potrebbe inoltre stare generando una graduale perdita di empatia così come un raffreddamento delle relazioni sociali ed il suo indebolimento dei legami, che, se non supportati da processi di consapevolezza e di dinamica di interrelazione nella vita reale, rischiano di divenire nuove forme di distanziamento sociale.

Conclusioni provvisorie


Per salvaguardare alcune caratteristiche cognitive del testo tradizionale bisogna avvicinare i lettori novizi al testo digitale gradualmente, in modo da abituarli a trasferire alla lettura digitale quei processi cognitivi alti che la lettura su carta ci ha insegnato ad elaborare.

Questo vale soprattutto per i bambini, il cui cervello in via di sviluppo ha bisogno di lentezza, riflessività e sequenzialità; di conseguenza, per evitare fenomeni di povertà cognitiva e contrastare i possibili scompensi del digitale, occorre immaginare delle strategie compensative come quella del bi-analfabetismo, dove la lettura analogica e digitale si integrano e vengono insegnate come due diverse lingue, con l’obiettivo di formare un cervello bialfabetizzato in grado di passare da un codice all’altro e di “assegnare tempo e attenzione alle abilità di lettura profonda a prescindere dal mezzo usato”.

Le preoccupazioni per gli effetti di impoverimento cognitivo e delle pratiche culturali sono decisamente fondate, ma purtroppo non possiamo conoscere gli effetti futuri dei cambiamenti descritti, per i quali è possibile, al momento, solo fare delle previsioni.

Articolo di Amalia

Ricordo quando mi sporcavo le mani con gli inchiostri di papà! Oggi so quanto sono stata fortunata. amalia@litocinquegrana.it

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